Recensione del libro di Gesuino Nemus, La Teologia del Cinghiale

LO SCRITTORE OGLIASTRINO GESUINO NEMUS

Scrittore di vasta cultura, vulcanico, irriverente, allegro, istrionico, a volte claunesco. Ho conosciuto e sentito GESUINO NEMUS, il 7 Settembre 2018 in una bella piazzetta di “Martis in poesia 2° edizione” intervistato da filosofo Prof. Michele Pinna. Un personaggio a tutto tondo, in un’ora di domande e risposte si è fatto conoscere e apprezzare da tutti i presenti.

Ho finito di leggere il suo primo romanzo,“LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE” casa editrice Elliot.

Uno “scugnizzo” o meglio “unu pitzinnu puzone ogliastrino”, con ampio armamentario intellettivo, e una furbizia e arguzia da gesuita consumato, lascia la sua povera, bella e selvaggia ammaliatrice terra d’Ogliastra, per voler afferrare la vita a piene mani.
Andò in giro per l’Italia, fecce dozzine di lavori diversi, per dirla come si dice in Goceano: “at manighadu pane de sette furros e buffadu abbas de sette funtanas”, (ha mangiato pane di sette forni e bevuto acqua di sette fontane). Fra i tanti mestieri o lavori, quelli più importanti il giornalista e scrittore, attore. Nel suo “carniere” si contano tre romanzi in tre anni, 2015 LaTeologia del Gianghiale, nel 2016, I bambini sardi non piangono mai, nel 2017 il terzo romanzo, Ora Pro Loco, sta per uscire un quarto romanzo.

Nel romanzo LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE, ha creato con alto senso poetico, un quadro a forti tinte della realtà fine anni 6o in Ogliastra, scolpendo il carattere a tanti personaggi e rendendoli così veri, così reali, con i loro difetti, con i loro pregi, le passioni e i rancori, da sembrare persone conosciute da sempre. Il personaggio del prete Don Cossu, gesuita roccioso, abile puparo e manipolatore, muoveva i fili di quel piccolo mondo di Televras, forte delle confessioni dei suoi parrocchiani. Teologo, antropologo, filosofo, cacciatore. Lontano dai canoni ecclesiastici ma, in fondo grande pacificatore.
Diceva al maresciallo De Stefani, che inutilmente, cercava di scucirli da bocca notizie sui latitanti: “ Marescià non faccia il piemontese” . Matteo il chierichetto intelligentissimo, che correggeva Don Cossu nei congiuntivi, tanto che toccava l’orgoglio del gesuita e lui le diede l’ appellativo “Isciu tottu deo”, (so tutto io). Divertente e originale lo scambio di battute A pagina 15, Don Cossu invita il Dott. Poddighe a cena, quest’ultimo chiede: “Cosa si mangia ?”, il prete risponde: “un’ispidu bestidu de sirbone”, (uno spiedo vestito di cinghiale).

Gesuino Nemus, in questo romanzo, con delicatezza e garbo, affronta questioni sociali di quegli anni, con un sano e onesto sardismo, tra le righe evidenzia la voglia di riscatto che alberga sempre nel popolo sardo.
A pagina 112 , lo scrittore descrive lo struggente momento che vide per l’ultima volta, il suo amico eroe Matteo Trudinu il quale si incammina per la montagna, dove scomparse per sempre, lasciando in lui traccia indelebile nel suo animo come il solco di un aratro che rivolta la terra.

Un’altra mirabile penna della terra sarda, un talentuoso narrare, una viva arte descrittiva di un figlio dell’Ogliastra. Grazie Gesuino Nemus.

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Recensione del libro “Le pietre di Nur” di Vindice Lecis, edizioni Condaghes

Copertina del libro

“Le Pietre di Nur” di Vindice Lecis, edizioni Condaghes, Collana Narrativa “I Dolmen”.

Uno scrivere asciutto, essenziale, da giornalista di grande scuola.
Vindice Lecis avvezzo a raccontare i fatti e misfatti, alterna i ruoli di giornalista e scrittore o meglio miscela queste due arti in modo raffinato nel suo romanzo “Le pietre di Nur”.
Srotolando questo antico papiro vecchio di circa trenta secoli, architetta un affresco storico antropologico di un’oscuro e lontano periodo nuragico. Costruisce e narra immagini talmente nitide da sembrare le scene di un film. Dunque bravo in regia e in sceneggiatura.
Le ambientazioni guerresche, l’abbigliamento, le armi, l’attacco alla torre-fortezza, sono dettagliate e coinvolgenti, evidenziano la navigata penna del cronista.
Ho letto le 240 pagine trovando un interesse crescente nel percorso letterario e descrittivo di Vindice Lecis.
L’immagine del “Villaggio del traditore Percalinai” porta la memoria del lettore al villaggio medioevale di Santa Cristina.
Lecis scrive:

“La federazione dei popoli nuragici decide di opporsi all’inarrestabile conquista dei suoi territori …”

Un desiderio inconscio dello scrittore, traslato ai nostri giorni, come un volere i sardi più uniti e compatti! Un volere i sardi artefici del proprio avvenire, liberi fra popoli liberi.

Grazie ad un’altra bella penna della nostra terra.

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Le Pietre di Nur

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Recensione del libro ACCABADORA di Michela Murigia, edizioni Einaudi.

ACCABADORA di Michela Murigia, edizioni Einaudi.

MICHELA MURGIA, una bella penna della nostra terra. Un racconto che ti prende per mano, e ti porta a conoscere questi personaggi, così profondi, umani e veri, cucendoli addosso personalità e carattere di alto valore umano e antropologico.

Ho letto S’ACCABADORA, in una serata del dicembre 2010. Due ore di lettura, interrotta qualche momento, per rispondere al dialogare di mia moglie.

Una scrittura fluida e scorrevole per una sarda, un linguaggio originale, con escursioni fra l’arcaico e il moderno “de sa Limba Sarda”. Pennellate di malinconia, portano a svolazzare il pensiero, in un tempo lontano indefinito, riportando alla luce come in uno scavo archeologico, “reperti” storici e antropologici, ormai sepolti nelle ceneri del tempo. Con colori forti, evidenzia questa figura rocciosa de S’Accabadora o Agabadora, sopravvissuta nello scorrere dei secoli, fino agli anni cinquanta – sessanta. Rimedio spartano ad agonie lunghe dolorose, su corpi straziati senza rimedio.

La cultura Sarda nei millenni, evidenzia la presenza femminile, nei due atti più importanti dell’esistenza umana, sa mastra ‘e partu in sa naschida, s’accabadora in sa morte; non era raro in quei tempi che le due funzioni fossero svolte dalla stessa persona.

Vorrei precisare che s’accabadora non aiutava nessuno a suicidarsi, il suicido era condannato nella cultura Sarda. S’accabadora dava un aiuto finché lo spirito lasciasse il corpo, quando il trapasso naturale era doloroso, come il nascituro lascia il corpo della madre con l’aiuto “ de sa mastra ‘e partu.” Bonaria Urrai un aiuto dalla nascita alla morte.

Grazie Michela Murgia per questa bella scultura letteraria scolpita dalla tua penna.

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