S’AGABADORA
MICHELA MURGIA , una bella penna della nostra terra . Un racconto che ti prende per mano, e ti porta a conoscere questi personaggi, così profondi, umani e veri, cucendoli addosso personalità e carattere di alto valore umano e antropologico.
Ho letto S’AGABADORA, in una serata, del Dicembre 2010. Due ore di lettura, interrotta Qualche momento, per rispondere al dialogare di mia moglie.
Una scrittura fluida e scorrevole per una sarda, un linguaggio originale, con escursioni fra l’arcaico e il moderno “de sa Limba Sarda”. Pennellate di malinconia, portano a svolazzare il pensiero, in un tempo lontano indefinito, riportando alla luce come in uno scavo archeologico, “reperti” storici e antropologici, ormai sepolti nelle ceneri del tempo. Con colori forti di grigio/oscuro, evidenziano questa figura rocciosa de S’AGABADORA, sopravvissuta nello scorrere dei secoli, fino agli anni cinquanta / sessanta. Rimedio spartano ad agonie lunghe dolorose, su corpi straziati senza rimedio.
La cultura Sarda nei millenni, evidenzia la presenza femminile, nei due atti più importanti dell’esistenza umana, sa mastra ‘e partu in sa naschida, s’agabadora in sa morte; non era raro in quei tempi che le due funzioni fossero svolte dalla stessa persona .
Vorrei precisare che S’agabadora non aiutava nessuno a suicidarsi, il suicido era condannato nella cultura Sarda. S’agabadora dava un aiuto finché lo spirito lasciasse il corpo, quando il trapasso naturale era doloroso, come il nascituro lascia il corpo della madre con l’aiuto “ de sa mastra ‘e partu.” Bonaria Urrai un aiuto dalla nascita alla morte. Grazie Michela Murgia per questa bella scultura letteraria scolpita dalla tua penna.
Pedru Peigottu